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Di questi tempi molti episodi di aggressività stanno riempiendo i titoli dei quotidiani e per questo si parla molto di interventi educativi e di educazione per “risolvere” un’emergenza che sembra non avere argini. Noi di educazione ne abbiamo “fatta” tanta e continuiamo a farne. Nonostante ciò crediamo che un dato davvero importante sia la coscienza che ognuno ha di se stesso e del proprio vivere in relazione a ciò che lo circonda.

Crediamo che il mondo adulto debba per primo interrogarsi sul proprio modo di gestire un impulso fisiologico come quello dell’aggressività e della violenza, non solo fisica, ma anche verbale e di pensiero. Prima di additare i giovani, dobbiamo cercare di guardarci noi allo specchio e riconoscere per primi le nostre fragilità, per poterne trarre insegnamento e quindi trasformarle in valore, che può arricchire il nostro ruolo di comunità educante.

Quello di cui si parla poco, però, sono le metodologie che si utilizzano nel campo dell’educazione, non si risolve più tutto, per fortuna, con una sgridata o un discorso verbale. Oggi e ormai da tempo i dispositivi educativi sono cambiati, così come è cambiato il nostro modo di pensare la pedagogia.

Da approcci più “cognitivi” o se vogliamo, logici, stiamo passando (o forse chi lo sa ritornando) ad approcci più concreti e cioè esperienziali, che potremmo definire analogici.

Anche l’apprendimento non è più solo pensato in termini cognitivi e pertanto come qualcosa da aggiungere alla conoscenza e alla mente dei ragazzi, ma si è tornati a considerare l’esperienza come mezzo per la comprensione e l’apprendimento.

Il “fare del corpo” diviene, perciò, processo di crescita e di evoluzione o cambiamento soprattutto se guidato da un’intenzionalità specifica.

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In questi percorsi evolutivi, accanto alla pedagogia abbiamo allora anche diverse altre discipline che possono co-costruire un intervento educativo o meglio, un progetto complesso. Consideriamo infatti la complessità come un valore: la possibilità che a partire da un processo si possano ottenere diversi risultati possibili alcuni dei quali anche imprevedibili e proprio per questo molto interessanti.

Citando le nuove scoperte delle neuroscienze sulla plasticità neuronale possiamo certamente affermare che interventi dove è in primis il corpo ad agire siano portatori di potenziali cambiamenti e apprendimenti, non solo per quanto riguarda i bambini o i ragazzi in crescita, ma a tutte le età.

Nel nostro caso specifico, sappiamo che i preadolescenti e gli adolescenti, vivono una delicata ma feconda fase della vita, che potremmo definire una seconda nascita: viene infatti chiamata “nascita sociale”. Se ci mettiamo in un atteggiamento di apertura e di accoglimento senza giudizio, non possiamo nemmeno immaginare quali potenzialità siano insite in un passaggio evolutivo così significativo.

In questa fase è sicuramente interessante fornire ai ragazzi strumenti con cui possano esplorare la consapevolezza di sé e del proprio momento di cambiamento anche imparando a leggere e a conoscere stati emozionali spesso difficilmente riconoscibili e nominabili. Questi stati emotivi, se affrontati con una guida, possono essere elaborati e “mentalizzati”, per essere poi integrati nel proprio vissuto personale.

Gli strumenti per fare questo possono essere di diversa tipologia: alcuni possono favorire l’espressione di sé, altri la riflessione, altri possono facilitare la relazione e quindi la consapevolezza sul proprio e altrui comportamento e sulle origini di quest’ultimo.

Nel nostro lavoro sul campo a contatto coi ragazzi riflettiamo, infatti, sul fatto che alcune manifestazioni di disagio legate all’adattamento ad esempio alla quotidianità scolastica possano essere l’espressione di un malessere personale, sociale o famigliare. Gli effetti di questo magma interiore non elaborato, sono talvolta visibili nella gestione faticosa dell’emotività e di conseguenza influiscono sul comportamento e sulle relazioni con gli altri.

Siamo convinti però che un malessere, piccolo o grande che sia, debba trovare uno spazio di ascolto e accoglimento per poter essere elaborato e diventare un’occasione di trasformazione e di accesso a nuove risorse e opportunità che la fase adolescenziale porta obbligatoriamente con sé.

Per affrontare tematiche emotive e relazionali si possono perciò utilizzare tecniche concrete come modalità espressive che utilizzano lo strumento del linguaggio analogico, non-verbale, immaginativo o manipolativo, per favorire l’espressione di se stessi, la rielaborazione dei contenuti interni e valorizzare le risorse personali.

Per questo li chiamiamo “percorsi esperienziali”, perché sono cammini di crescita, che presuppongono un tempo e uno spazio reale in cui le cose possono accadere. Un tempo in cui i ragazzi possano fare esperienza concreta e riflettere attraverso il ragionamento logico ma contemporaneamente anche apprendere in una modalità più interna e meno visibile, non per questo meno significativa. Ed ecco che entra in gioco il tema dell’imprevedibilità: ciò che attiviamo in loro può essere un seme che resta dentro di loro e che la vita stessa fornirà l’occasione giusta perché germogli. Una seme di speranza per loro ma soprattutto per il mondo delle future relazioni.

Grazie a questi “percorsi esperienziali” i ragazzi possono mettere in gioco loro stessi in modo autentico, all’interno di un contesto accogliente e potenzialmente trasformativo. La finalità di questi percorsi è perciò quella di condurli nella direzione di una maggiore consapevolezza, per integrare corpo e mente, agito e verbale, pensiero e vissuto: tutte parti in evoluzione nella fase adolescenziale e preadolescenziale.

Possono allora essere affrontati in maniera trasversale tematiche quali: la giusta distanza fra sé e l’altro, i limiti e i confini nella relazione, la consapevolezza del proprio modo di stare in relazione, l’integrazione di cuore, testa e corporeità, il rispetto di sé e dell’altro.

Solo considerando gli adolescenti come persone ricche di risorse e potenzialità, possiamo essere a loro vicini, per accompagnarli in un processo di crescita che sia l’inizio di un viaggio che li porterà alla vita adulta.

 

 

Il mio articolo originale si trova sul sito del progetto: Ciak si gira! Attrezzi multimediali contro il bullismo.