Il vuoto e il nuovo

Ecco qui il mandala del mese. Ogni mese, il primo del mese disegnerò un mandala che sarà la rappresentazione creativa del concetto su cui vorrei meditare e concentrarmi per i 30 giorni successivi. Lo regalo anche a te come spunto e se vuoi potrai raccontarmi cosa ti suggerisce.

Settembre è per me “IL VUOTO E IL NUOVO”.

Dal vuoto al nuovo è quasi un gioco di parole, ma è così che spesso accade, gli opposti sono in realtà non-separati fra loro e l’uno chiama l’altro anche se quando stiamo vivendo una situazione difficile non riusciamo a vedere tanto in là.
Il vuoto perciò non è mai vuoto, è un terreno vivo che assorbe ciò che c’è e che aspetta di restituirlo con le sue prime gemme, è l’oscurità in cui puoi stare dentro per un po’, sentendo tue emozioni, accettandole e cullandole per quello che sono. Anche difficili. Perchè poi si sa, tutto torna. Torna e riparte da capo. Tutto finisce e rinasce. Sempre. In modi nuovi, talvolta inaspettati ed è questo che sorprende.

Questo mandala è nato molto velocemente, come se fosse già lì, pronto per essere espresso. E’ stato lì fermo per diverso tempo, un tempo in cui non ho preso in mano colori e pennelli. Il tempo dell’attesa e del vuoto necessario a lasciare spazio per qualcosa di nuovo. Ed ecco che poi arriva, con la sua forma rotonda, così famigliare e accogliente, ma non perfetta, così che possa essere di tutti e non creare aspettative di prestazione. Il cerchio ha permesso ad una linea curva di dividere lo spazio in due parti, una poi si è trasformata subito in una goccia colorata con i colori a olio. I colori a olio sono molto coprenti e non si fanno cancellare, lasciano una traccia evidente ma nello stesso tempo morbida perchè sono oleosi e danno un senso di … Vellutato. Dall’altra parte c’è invece la linea intrecciata della grafite che è un materiale decisamente più secco, sappiamo infatti che la punta della matita lascia un tratto più definito. Entrambe le parti però contengono spazi vuoti. Un vuoto che percepiamo grazie al colore bianco e al materiale della carta. Quindi un vuoto che in realtà possiede delle caratteristiche e racconta qualcosa di sè e della sua qualità. Ecco perchè questo mandala mi ha ricordato che non c’è separazione fra gli opposti, possiamo provare a separare con una linea o un tratto, ma in realtà tutte le parti dialogano l’una con l’altra e si richiamano, ognuna ha una sua importanza nella composizione e ognuna ha una sua dignità in quanto accostata all’altra. Una fa nascere l’altra in un movimento infinito. Ricorda un po’ il simbolo del Tao nelle filosofie orientali.
Non trovi?

Questa è la mia lettura di oggi che potrà essere arricchita dallo sguardo che osserva, aspetto volentieri un tuo feedback in proposito! Puoi commentare qua sotto o scrivermi una mail!

Ti invito se vuoi a provare anche tu a creare il tuo mandala del mese!
Ogni mese ci sarà la possibilità di disegnare insieme, online comodamente a casa tua, il tuo mandala. Il primo sarà il 14 settembre alle 20.30 su zoom. L’incontro è gratuito, ci sarai?

Se vuoi partecipare per inaugurare in modo creativo l’arrivo di settembre prepara un foglio bianco e i colori che preferisci e scrivimi subito per prenotare il tuo posto!
Martedì 14 settembre dalle 20.30 alle 21.30 disegniamo insieme il tuo mandala del mese!
Scrivimi all’indirizzo vivianavisconti.arte@gmail.com per ricevere il link per collegarti.

Gli opposti

Il termine “Tao” significa “via”, intesa come cammino, divenire di tutte le cose, che oscilla fra due estremi opposti, simbolicamente rappresentati dal bianco e dal nero del cerchio, ovvero lo yin (femminile, oscuro, passivo) e lo yang (maschile, luminoso, attivo). Il cerchio in questione è disegnato in modo che ogni volta che uno dei due estremi (bianco o nero) viene raggiunto, una forza invisibile lo spinga verso l’altro e così via in un eterno ciclo di opposti. In fondo non accade lo stesso nel cielo, quando sole e luna si alternano durante il giorno e la notte? Non accade lo stesso con le stagioni? L’una lascia il posto all’altra, in un moto perpetuo. E’ solo riconoscendo la duplicità insita nel nostro mondo interiore che si può imparare a fare pace con se stessi. Mettiamoci in ascolto  degli  opposti che albergano dentro di noi e nell’incontro con l’altro come specchio di sé, rivelatore della nostra identità. “L’altro sono io” perché l’ho attratto io: l’ha attirato la mia parte inconscia, quell’ombra che vuole venire alla luce per chiarificarsi, ripulirsi, conoscersi, migliorarsi.

Perciò ognuno di noi contiene entrambe le parti di ciò che noi chiamiamo opposti. L’uno è necessario all’altro, ma non solo, entrambi sono importanti per la costruzione dell’Uno. Ciò che è più cupo, o difficile da vedere e perciò da accettare per noi, è in realtà la parte che ci darà l’opportunità di conoscerci e quindi di crescere. Si cresce nella consapevolezza, si cresce nel cammino, si cresce nel “fare” e quindi nell’esperienza dell’incontro. Con l’altro, con noi stessi, con le cose della vita.

Buddha, nel Sutra del Cuore, dice:

“La forma non è differente dal vuoto,
il vuoto non è differente dalla forma,
eppure la forma è forma e il vuoto è vuoto”

Questo passaggio è illuminante se letto con la parte più sensibile e sensitiva di noi. Se lo leggiamo con il nostro cervello cognitivo, ovviamente ci sembrerà un paradosso, ma racchiude l’essenza di ciò che è. Permette di sentire la pace della stasi, nel movimento infinito delle cose. Sono parole che parlano da sole, è infatti difficile commentarle, vanno lasciate risuonare dentro di noi, come la vibrazione di una campana tibetana. E’ un’esperienza più che una comprensione cognitiva.
Un’esperienza che lascia spazio, anzi, apre spazio… Allarga la prospettiva e se ci fermiamo un attimo, possiamo sentire la pace che emana questa apertura.

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Facendo il vuoto, possiamo accedere alla forma, esse sono entrambe presenti, ma noi riusciamo a percepire una sola di queste due cose alla volta. In realtà sono, entrambe. Ne facciamo esperienza quando siamo particolarmente rilassati, magari in vacanza o in momenti calmi, dove la nostra mente ci bussa per farci notare che manca qualcosa, che dovremmo fare qualcosa, che è strano quel momento di … Niente. Nella società veloce in cui viviamo, ciò che non produce sembra sbagliato. In realtà quelli sono i momenti più produttivi di tutti, sono quelli in cui può svilupparsi la creatività, come in un momento di meditazione, dove nasce all’improvviso un’idea, un’intuizione e noi ci stupiamo. In realtà è già tutto dentro di noi, le risorse sono dentro di noi, sono noi. Dobbiamo fargli spazio, fargli vuoto, perchè possano germogliare. Ci vuole il terreno giusto e tutto arriverà, nel proprio momento miracoloso e unico.

Dobbiamo provare a fare vuoto e scopriremo qualcosa di nuovo, che è sempre stato lì.

Il vuoto

Trenta raggi convergono nel mozzo

Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità della ruota

Si plasma l’argilla per farne un recipiente

Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità del recipiente

Si aprono porte e finestre per fare una stanza

Ma è dove non c’è nulla che sta l’utilità della stanza

Così il «c’è» presenta delle opportunità, che il «non c’è» trasforma in utilità

(Lao Zi,11)

In questo breve saggio viene descritta la concezione cinese taoista del vuoto. Per farlo vengono citati il tempo (i trenta raggi o giorni del mese), lo spazio (il dentro e il fuori, la capienza del recipiente) e la casa come l’essere e l’abitare dell’uomo.
Mi permetto una mia lettura su un concetto così vasto. Fare il vuoto sarebbe perciò percepire il non-tempo e il non-spazio e il non-essere, come non-forma o definizione.

Il vuoto può fare paura, perché per noi occidentali richiama l’incertezza e solitamente ne diamo una connotazione negativa, mettendo davanti l’avverbio di negazione “non”. Il vuoto è ciò che non è pieno. É la mancanza, è lo spazio libero, privo di contenuto o di materia o addirittura di significato.
In effetti noi occidentali siamo molto legati al senso, al significato e di conseguenza alla definizione. Siamo abituati a nominare le cose che ci accadono o sappiamo che è utile nominare, cioè dare un nome a una sensazione o ad un’emozione per non farci sopraffare. Così grazie alla parola noi la conteniamo, o meglio, la controlliamo. Ed è cosa buona e giusta intendiamoci.

Però è interessante provare a vedere le cose da un altro, o meglio, altri punti di vista. Il vuoto e la non definizione ci permettono di ampliare il campo verso una dimensione di infinito, sia nel caso dello spazio che del tempo, che della materia, l’essere. Ed ecco che all’improvviso tutto diventa più indefinito ma si arricchisce di possibilità.  Allora per un momento possiamo contemplare questa possibilità infinita data dall’apertura e sentire l’effetto che fa su di noi.
A me personalmente dà una sensazione di libertà e leggerezza, sento i polmoni che si aprono e il respiro piú libero. É solo un momento ma si può godere di questa sensazione. Allora io non sono più io, o meglio posso essere tutti gli “io” che voglio, accetto di buon grado la dimensione del cambiamento e lascio spazio a nuove esperienze e nuovi pensieri, che ancora “non” ci sono ma che verranno se lascio loro il vuoto che serve.

É una sensazione che può essere percepita durante la meditazione, oppure leggendo una poesia, o durante la pratica artistica. Sono solo momenti, ma di cui possiamo essere grati perché ci ricordano la nostra in-finitezza spirituale, se vogliamo chiamarla così. Scopriamo quindi che il vuoto non è solo vuoto, ma racchiude o meglio racchiuderà qualcosa, il nuovo, la possibilità,  il non, l’infinito, il diverso, lo spirito, la luce. È solo nel vuoto, nell’assenza di ciò che chiamiamo “io” e di tutte le definizioni che riguardano il nostro essere, che possiamo scorgere la luce, ciò che realmente siamo.

Io lo paragono alla tela bianca dell’artista. Proprio quella che prima di iniziare un quadro fa paura, inquieta perché bianca e vuota. Quella tela è però lo sfondo, anzi il fondo necessario all’arte per manifestarsi. È il fondo che c’è dentro di noi, dove le categorie di tempo e spazio non esistono ancora, è lo spirito, l’anima, quella parte autentica che non è intaccata da un nome o una definizione. É quello che c’è prima di ciò che chiamiamo identità, prima del ruolo, di come ci definiamo o di ciò che Jung chiama l’archetipo “persona”. È essere ed esserci, in modo autentico, primitivo e primario, prima di ogni cosa.

Quando mi connetto con quel fondo io sto bene, sento una sensazione di calma e benessere, che seppur necessariamente precaria, perchè c’è poco spazio per lei nel ritmo della vita quotidiana, mi dà però il senso di essere infinita. Quando mi abbandona, rimane in me il sapore della possibilità e del cambiamento e quindi anche il sentimento aperto della speranza.

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“L’infinito”  bassorilievo in garze gessate e corda. 20×30

La sospensione del giudizio di fronte ad un’opera d’arte per me è proprio questo: lasciare che l’opera sia aperta e possa parlare di sé e quindi di noi senza chiuderla in un unico significato o parola. La parola che sento oggi è accolta con la consapevolezza che ne arriveranno altre e quelle che non arriveranno, semplicemente saranno, anche senza essere da noi conosciute.

Ciò che non conosciamo o che non possiamo misurare con le leggi della scienza, è, comunque e nonostante. È, anche se non viene definito, scritto, conosciuto e categorizzato.

Perciò dobbiamo essere sempre aperti, perché quello che percepiamo coi nostri sensi non è tutto. C’è tanto altro, tante possibilità che nemmeno contempliamo ora, ma esistono.

Contattare la dimensione del vuoto ci permette di sospendere realmente per un istante il nostro giudizio, il nostro pensiero razionale, per poter accogliere altro, per poter accogliere la luce. Una conoscenza diversa che apre a nuove possibilità. Lo facciamo con il cuore aperto e con gratitudine.

É interessante notare come vuoto e pieno siano entrambi compresenti sempre, come nel simbolo del tao sono entrambi necessari, l’uno genera l’altro in un moto continuo, così che si risolve la dinamica degli opposti.

Ma questa è un’altra storia… che vi racconterò la prossima volta.