“La Forma non è differente dal vuoto,
il vuoto non è differente dalla forma,
eppure la forma è forma e il vuoto e vuoto”
Sutra del cuore
In questo momento di fermo, dove tutto ci sembra talvolta perduto: la libertà di muoverci, di fare cose, di lavorare, di aggregarci, crea un vuoto dentro e fuori di noi. Perché tutto ciò che accade fuori rispecchia qualcosa che è dentro di noi. Noi siamo collegati a tutto e a tutti, interconnessi e quindi ciò che sentiamo e proviamo è lo specchio di ciò che fuori accade e viceversa. Ci sono infatti cose che ci toccano più di altre, parole, situazioni, vissuti, mancanze.
Il vuoto riecheggia il pieno a cui eravamo abituati, ce lo fa sentire più forte come mancanza, ma anche come valore e significato. Ora che lo vediamo da lontano quel pieno, la distanza ci aiuta a dare significato a ciò che forse davamo per scontato. Non è facile perché fa soffrire e ci fa sentire soli. Ma quella sofferenza ci dice qualcosa di noi che forse abbiamo l’opportunità di sapere. In ogni cosa c’è un’ombra e una luce, in ogni opera c’è un nero ma anche un bianco e talvolta l’uno prende il posto dell’altro e insieme ci danno un quadro più completo. Oggi sentiamo forte la presenza dell’ombra, ma l’ombra c’è sempre stata era lì e noi non volevamo vederla, in realtà fa più paura non vedere che assistere alla verità. La verità è a volte amara ma è reale, è ciò che c’è ed è lì da vedere e perciò si può gestire. Ciò che non vedo e che è sconosciuto mi agisce e perciò crea maggiore angoscia.
Ma cosa ce ne facciamo ora che il vuoto è lì davanti a noi? Dentro di noi e fuori di noi e dentro gli altri? Un vuoto che si è fatto sentire collettivo e si è manifestato in gesti e parole che abbiamo forse giudicato o deriso ma che in fondo sono parte di ognuno e di tutti. C’è chi li ha esplicitati e chi li porta dentro come un macigno. Sono emozioni ataviche che ci uniscono come parte di un’umanità che si espande nel tempo e nello spazio. Però di queste emozioni dobbiamo farcene qualcosa, altrimenti il vuoto si trasforma in buco nero che assorbe tutto indistintamente e che non produce niente. (O almeno questo è quello che pensiamo, e chissà se in un altro luogo e in un altro tempo, quello che risucchia lo trasforma digerito e diventa terreno fertile da qualche altra parte nell’universo).
Ma adesso noi siamo qui e dobbiamo occuparci di questo nostro sentire e dargli una forma e un nome per poterlo ri-conoscere per vedere se da esso può venire fuori qualcosa di buono e qualcosa di nuovo. Dobbiamo prenderlo e renderlo visibile, toccabile, dicibile. Abbiamo bisogno che abbia dei confini precisi per poter sentire anche quel senso di sicurezza che ci permette di crescere e di aprirci al nuovo. Senza il nostro luogo al sicuro non potremo spiccare il volo un giorno, quando finalmente verrà il momento.
Ora siamo qui e qui dobbiamo fare qualcosa. “Fare” nel senso di usare le mani e muoverle per costruire qualcosa, dare una forma tangibile a questo sentire. Possiamo affidarci al corpo, che è la cosa più reale che abbiamo nel bene e nel male. Possiamo farlo vivere permettergli di trovare in sé uno spiraglio di energia e alimentarla, come si fa con una flebile fiammella soffiandogli sopra ossigeno per farla divampare in qualcosa di più grande. Allora respiriamo e diamo ossigeno alla nostra parte creativa che è lì disponibile a farci vedere qualcosa di nuovo, per farci sentire ancora “potenti” nel senso di persone che possono, nonostante le limitazioni, nonostante il nostro sentirci inermi adesso.
Sappiamo e in questo periodo sentiamo che i confini sono faticosi, ma nello stesso tempo ci danno un senso di sicurezza. Le quattro mura della nostra casa ci stanno strette in questo momento ma a volte le guardiamo e le ringraziamo perché ci tengono al caldo e al sicuro, come fa l’abbraccio di una mamma con il suo bambino. Viste da fuori sono muri di cemento e mattoni ma viste da dentro sono pareti calde che esprimono ciò che siamo attraverso quadri o oggetti che parlano di noi.
Libertà e costrizione, apertura e chiusura, bianco e nero sono due facce della stessa medaglia.
Esistono entrambe e se le accogliamo ognuna con la sua fatica e la sua opportunità, possiamo vedere un’evoluzione, un germoglio che ci può portare da qualche altra parte, a qualcosa di nuovo. Possiamo uscire dalla dualità, ampliando il campo e dando possibilità ad una terza possibilità di farsi presenza. Questo ci permette di non sentirci bloccati ma anzi di muoverci, perché contattiamo una parte vitale dentro di noi che possiamo coltivare proprio in questi momenti difficili: la creatività. Il pensiero divergente che mescola tutto e inventa forme nuove, che ci fa conoscere cose diverse di noi e degli altri, che ci fa vedere in noi e negli altri la ricchezza della molteplicità di idee, sguardi, parole, pensieri, emozioni. Che oggi ci fa fare cose nuove oppure cose vecchie in un modo nuovo oppure percependone un nuovo sapore.
Viviamo in un limite e lo sentiamo molto forte è vero, ma è lì che nasce la possibilità. Non è arrendersi, è accettare di essere fermi per poter adesso muoverci in un modo altro. Anche se non l’abbiamo scelto, anche se non lo vogliamo, stiamo qui e adesso cogliamo questa opportunità perchè poi quando si potrà fare, andare, essere… Potremo portare nel modo là fuori qualcosa che prima non c’era.
Io da parte mia ho un canale che vorrei tanto usare in questo momento in cui sarebbe così utile, ma non posso farlo: l’arte come possibilità di benessere e cura.
Per questo motivo nel prossimo post pubblicherò un suggerimento per fare un’opera nella propria casa. Anche se non è la stessa cosa, è una cosa diversa ma adesso ha lo spazio di nascere.
Restiamo a casa,
restiamo,
stiamo.
Viviana